Solo il nome ci accomuna?

 


Vi presento Gerardo Gallo, no non sono io, si abbiamo lo stesso nome perché questo strano figuro è mio nonno. Dalle mie parti si usa ancora così, per quanto io abbia varie rimostranze per una abitudine così antica, rispetto questa usanza e vi dirò che tutto sommato il mio nome e cognome mi piacciono tanto. Ma non sono qui per parlare di me, anche se credo che parlando di lui, sotto sotto io lo faccia soprattutto per me.
In ogni foto ci sono gli altri e poi c'è "LUI", anche quando è in secondo piano, in un angolo, lui sta raccontando una storia diversa, un punto di vista che disegna spazi e contorni che ribaltano lo scenario.
Ma so, da quello che dentro mi ha lasciato, quanto mistero per l'oltre mi abbia donato, nulla che vada necessariamente nell'esoterismo. Ma intendo lo sguardo che ti permette di andare al di là delle cose per come appaiono, oltre l'idea di una vita rinchiusa dentro dei paletti prefissati.
Guardo le foto, ascolto il vento e i sussurri mi riportano continuamente ad un abbraccio caldo, che riconosco perché è come un faro nella notte e quella lucina che ad intervalli regolari mi illumina il viso, ha un sapore di casa, ovunque io stia navigando.

Credo fosse un attore e che sapesse nascondere bene all'esterno chi davvero fosse.

Ci parlo spesso, non vi posso raccontare dei nostri discorsi, sono troppo privati, ma riesce ad essere enigmatico anche ora, nascondendosi dietro il suo sorriso beffardo nonostante sia nell'altra dimensione da circa 45 anni.

Mi piace il modo in cui osservava il mondo intorno a lui e ci giocava costantemente, era come se nulla fosse importante e tutto fondamentale!

È stato un uomo di grande mistero, dei suoi viaggi a Napoli si sa poco, qualcuno sminuisce dicendo che gli piacevano tanto le donne, e su questo non ho dubbi! (E anche qui è meglio che io stia zitto).

Era falegname, fotografo, pasticciere, amante delle erbe curative, aggiustava biciclette, costruiva casse da morto, ho il sospetto che fosse un po' alchimista e faceva un presepe veramente fantastico. L'ultima immagine nella testa che ho di lui è una scena strana, come se l'avessi vissuta al di fuori del mio corpo: Avevo tre anni e lui era stesso sul suo letto di morte, io piccolo nel mio cappottino scuro, mi avvicino e gli bacio la fronte. A rivederla ora è come se in quel momento ci fosse stato un passaggio, un avvicendamento, una parte del suo sapere, qualcosa che tanto avrebbe voluto scoprire, è passata a me rendendomi un ricercatore dello sguardo altrove, delle storie che vogliono trovare una strada, per venire fuori.

Mi piace questo momento di ricerca su questo uomo buffo e intrigante che la vita mi sta regalando in questo periodo.


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Scrivere mi permette di mettermi in ascolto, di collegarmi alle storie che hanno il desiderio di essere raccontate. Esserne tramite è una gioia difficile da spiegare, anche per uno che di mestiere fa il comunicatore. Entra ad assaporare questo viaggio.